Dal 2 settembre riprende l'attività di Studio d'Arte 15 a Cesena con la mostra Fossili futuri.
Saranno esposti lavori di Alessandra Cocchi comprendenti pittura e scultura, appartenenti a tempi diversi ma accomunati da una sincera sensibilità ecologica e sviluppati secondo una personalissima riflessione sulle forme viventi, la loro evoluzione e un loro destino immaginario. Il mare, evocato nelle forme e nei colori, è l'ambiente che richiama le origini della vita sulla terra e il luogo da cui si sono sviluppate innumerevoli specie.
Filo conduttore delle diverse tecniche sperimentate dall'artista è la carta, materiale dalle infinite possibilità creative, lavorata e trasformata secondo un'ottica di riciclo artistico.
In questa mostra il piccolo spazio della galleria vuole far vivere una dimensione tra un mondo visionario e fantastico e la curiosità scientifica di un museo naturalistico.
La mostra sarà aperta dal 2 settembre al 7 ottobre ogni martedì, mercoledì, venerdì e sabato dalle 17.00 alle 19.00 in subborgo Eugenio Valzania 15
giovedì 10 agosto 2017
Con i "Fossili futuri" riapre Studio d'Arte 15
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Studio d'Arte 15
venerdì 7 luglio 2017
Partecipazione alla Giornata del Contemporaneo 2017
Studio d'Arte 15 parteciperà alla Giornata del contemporaneo 2017. Per l'occasione è stata proposta la mostra Il Caos dedicata alle opere di Sandro Taurisani, a cura di Alessandra Cocchi.
L'evento, organizzato da AMACI, Associazione dei Musei d'Arte Contemporanea Italiani, è patrocinata dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo.
La mostra si terrà nel mese di ottobre 2017 e verrà inaugurata sabato 14 ottobre.
Ricordiamo che nei mesi di luglio e agosto la galleria effettua la chiusura estiva. Le attività espositive riprenderanno nel mese di settembre 2017.
L'evento, organizzato da AMACI, Associazione dei Musei d'Arte Contemporanea Italiani, è patrocinata dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo.
La mostra si terrà nel mese di ottobre 2017 e verrà inaugurata sabato 14 ottobre.
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Ricordiamo che nei mesi di luglio e agosto la galleria effettua la chiusura estiva. Le attività espositive riprenderanno nel mese di settembre 2017.
mercoledì 17 maggio 2017
Le "Forme effimere" di Alessandra Cocchi
Per i mesi di maggio e giugno 2017 lo spazio espositivo di Studio d'Arte 15 a Cesena accoglie le nuove sculture della serie Forme effimere di Alessandra Cocchi.
Hanno anche una natura "effimera", poichè si tratta di composizioni provvisorie che vivono il tempo della loro esposizione e poi scompariranno per mano dell'artista che le ha create. Ma potranno rinascere in forme nuove in una prossima occasione.
La mostra proseguirà fino al 30 giugno 2017 e l'apertura al pubblico seguirà l'orario seguente: martedì, mercoledì, venerdì, sabato orario: dalle 17 alle 19. (chiuso lunedì, giovedì e festivi)
Una veduta dell'allestimento |
Le opere rappresentano un proseguimento della recente ricerca espressiva condotta dall'artista a partire dall'estate 2016, basata su un principio di aggregazione di elementi modulari che possono associarsi secondo infinite possibilità.
Stazione per meteoriti |
Con fantasiose combinazioni di piccole tessere dai colori madreperlacei sono nate forme leggere che sia articolano nello spazio e sembrano seguire una crescita spontanea. Esposti come in un museo improbabile, questa strana collezione di oggetti, a metà tra le costruzioni fantastiche e le macchine inutili, sembra una piccola raccolta di reperti provenienti da altri pianeti.
Dettaglio di una delle sculture esposte |
Cometa che si risveglia |
Un dettaglio dell'allestimento |
Finestra per il vento |
Dettaglio di una delle sculture esposte |
Dettaglio di una delle sculture esposte |
Una veduta dell'allestimento |
Studio d'Arte 15
Subborgo E. Valzania 15, Cesena
martedì 18 aprile 2017
I grattacieli di Massimo Galuppi
Dal 22 al 30 aprile Studio d'Arte 15 a Cesena ospita L'anima e il grattacielo, una mostra dedicata ai dipinti di Massimo Galuppi, a cura di Alessandra Cocchi.
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La locandina della mostra |
Recensioni
Colei che qui ed ora, nel mentre che fa
riaffiorare sensazioni dalla distanza temporale intercorsa, tenta anche di
tradurle trascrivendole, è la medesima che, quel giorno di due mesi fa, partita
con l'intento di scattare fotografie alle tavole dipinte di Massimo Galuppi, si
trovò incentrata in un'esperienza quasi mistica, una sorta di astrazione
a-spaziale, o meglio pluri-spaziale, che con un soggetto artistico differente – figurativo, magari – avrebbe avuto forse di
che confondersi con una manifestazione leggera di Sindrome di Stendhal.
Invece si trattò di
una progressiva (a mano a mano che si realizzava frontalmente
l'appropinquamento fisico al dipinto) compenetrazione psico-logica dell'anima
spettatrice con la sostanza materica dell'architettura colà scomposta e
riassemblata in pittura.
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Massimo Galuppi. Manhattan 2010 |
Galeotta sarà stata la suggestione
d'atmosfera; oppure a dischiudere il sipario percettivo della fotografa sarà
stata la solidarietà di lei con gli intenti espressivi accalcati nel cantiere
pittorico dall'artista cesenate (che da ormai lungo tempo la scrivente conosce,
e che costantemente riconosce congeniale a sé).
O forse, a
perpetrare l'incanto astraente di cui chi scrive si è trovata vittima contenta,
non era proprio quella inconfondibile qualità pluridimensionale dei dipinti di
Galuppi? Quella loro complessità (de)costruttiva di accostamenti e di
sovrapposizioni, che in maniera così singolare ed originale (dunque
riconoscibile) ottiene di approfondire i suoi dipinti in ambo le direzioni –
orizzontale e verticale – previste dallo schermo pittorico. Nelle opere
galuppiane invero sempre si constata una bidimensionalità controversa, si
direbbe recalcitrante a dover – per statuto pittorico – rinunciare alla terza
dimensione, quella che è propria, costitutiva, ed anzi essenziale, del
(s)oggetto architettonico (di cui la pittura di Galuppi è cantrice).
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Massimo Galuppi Manhattan 2012 |
Anzi, la interiore
movimentata molteplicità della superficie ritratta mai s'acquieta nella levigatezza
bidimensionale pittoricamente attesa, inficiata sempre com'è dall'emergere
materico di sottili presenze aggettanti, quegli innervati filamenti di pasta
deposti in contrasto cromatico, a rivendicare alla reinventata architettura
dipinta la caratteristica qualificante – e non solo in senso architettonico –
di “avere spessore”. Quali, infatti, impalcature metalliche a sorreggere i
lavoranti impegnati nel rifacimento di un edificio in ristrutturazione, così le
“canalette linfatiche” di smalto profilano le porzioni (ritorte, distorte e
riconfigurate dalla mano dell'artista) dell'architettura prescelta, a rilevarsi
come trama e fascino di ragno che alletta e attrae fatale l'insetto. C'è
infatti una catturante potenza di attrazione entro il reticolo irregolare di
tali cellule dai profili rilevati in pasta color biancastro o argenteo o
azzurrato o nero. C'è l'imponderabile e lo schiocco della crosta terrestre che
si crepa nel moto vitale della peculiarissima tettonica archi-tettonica messa
su tavola da Galuppi.
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Massimo Galuppi. Manhattan 2012 |
In colei che ragno
attirato nella tela si sentì allora, ed ora si risente e ne scrive, al cospetto
dei dipinti galuppiani c'è quella medesima emozione che la commuove
interiormente allorquando si rinviene dinanzi ad un planisfero, quasi che a
materializzarsi sulla parete fosse allora la fantasmagorica mappa del tesoro
– da ciascuno sognata in età non
sospetta –, ed il tesoro fosse ogni potenziale umanamente realizzabile. Sul
palcoscenico della tela, insomma, un planisfero di possibilità spalancatesi a
sfida dinanzi alla nostra abitudinaria ottusità, acquisizione insensibile del
divenir adulti. Ogni quadro diventa allora un invito a rimescolare i puzzle
della nostra esistenza, consci che c’è sempre l’opportunità di fare di tale
nostra esistenza l'arena su cui potrebbe scatenarsi ed inverarsi l'irreale, se
solo si avesse noi il coraggio di reimpostarci su di essa ed, in base alle
nuove configurazioni lì rappresentate, riprogrammare il nostro sentiero vitale.
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Massimo Galuppi. Manhattan 2014 |
In definitiva, non in altro che in tale
scardinamento ed intimo sommovimento del solido architettonico in
ricomposizioni altre ed eventuali, in riattuazioni dell'esistente, dunque nella
rigenerazione alternativa del costruito (ossia del reale), in ciò, risiede la
maggior scintilla di attrazione nella poetica pittorica di Massimo Galuppi. A
parere della scrivente, s’intende. Ciò che intriga lei è, insomma, il
galuppiano configurare assetti alternativi di un reale – quello architettonico
– che, talmente quotidiano, concreto, solido e corpulento, purtuttavia
paradossalmente risulta negletto dalla vista e, genericamente, dalla percezione
sensoriale del riguardante. Ne consegue che dall'occhio e dal sentire
insensibili del passante, codesta tanto imponente presenza architettonica
finisca inclusa nel novero delle staticità date per scontate, dei dati stabili
(non è, d’altronde, “stabile” uno dei sinonimi di “edificio”?), considerata
alla stregua di una mera invarianza percettiva all’interno della semplificata e
carente cognizione urbanistica (e conseguentemente culturale tout court) del cittadino.
È allora proprio in
questo snodo etico-sociale, che si insinua il modus pittorico
galuppiano, che – quasi suggerendosi come pharmacon –, si ribella a tale intestardita pigrizia
civica, impugna il pennello quasi fosse piccone, rivanga il lotto edificato,
ripensa l’alzato ed i volumi, rinviene nuovi ordinamenti possibili per murature
mattoni tegole finestre soppalchi tetti scale ciminiere etc. Per, infine (con
desiderato effetto consequenziale di un’iniziale sorpresa e la successiva
comparazione critica fra la versione reale e quella rigenerata) restituire al
riguardante l’oggetto architettonico noto in una forma inaudita. Suscitando
meraviglia.
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Massimo Galuppi. Manhattan 2014 |
Quella stessa
meraviglia, da cui nemmeno l’artista è esente. Sicché accade che, inizialmente
rapito egli dalla configurazione attuale dell’architettura, è infine l'artista
stesso che la rapisce, facendosene ricreatore, sollevandone la pelle per
reimmaginarne l'accostamento cellulare secondo modalità rigenerate (e – tale
l’auspicio – rigeneranti). Terminologia biologica non fuori luogo, dacché
l'intera operazione messa in atto con tratti e campiture, simbolicamente funge
da chirurgia estetica (e dunque contemporaneamente etica, secondo l'ottimo
detto wittgensteiniano) dell'organismo architettonico, ed in più larga scala
urbanistico, a disposizione del corpo civico. Con talora perfino degli
autentici riposizionamenti del D.N.A. plastico e statico.
Si badi, tuttavia,
che il nastro di partenza è sempre il “dato” (il reale, il costruito – imprigionato
che sia in scatto fotografico, ovvero calamitato in figura memoriale da
un’antica visione autoriale –), su cui il processo artistico lavora per
revocare questa (troppo) assodata “datità” e tramutarla in uno degli
innumerevoli potenziali esistibili, ma non pervenuti a realizzazione, poiché
scalzati dall'unico prescelto.
È dunque consustanzialmente filosofica questa arte, che reduplica il reale e lo rifrange in una pozzanghera cromatica e formale di tentativi costruttivi inespressi, colmando questa loro latente richiesta di attuazione con il surrogato pittorico di una esistibilità opzionale. Rimettere in campo i progetti scartati, istigare alla ribellione le alternative costruttive sconfitte o nemmeno concepite... Provocazione ad esistere? Si potrebbe ipotizzare un’arte con intento provocatorio, dunque. La filosofia è certo un balsamo fin troppo intridente per le menti prone a concederlesi. Sovverrebbero certamente Aristotele, con i suoi requisiti di accidente e le spole fra potenza ed atto (e viceversa: in verità, la fattispecie della procedura galuppiana parte dal realizzato, da cui estrae, trae e contrae configurazioni inesistenti – e, per essere sinceri, per lo più inesistibili –), Platone, Heidegger (tutti architetti di filosofia e filosofi di architettura); nonché la semiotica letterario-urbanistica di certo Ricœur, e ancora ovviamente certa avanguardia pittorica, certa fantascienza (declinata in libri ed in film), senza poter tralasciare l'immaginativa urbanistica calviniana, sempre sospesa tra esistibilità dell’inesistente e suo contrario. E così innanzi procedendo, poiché, a voler precisare l’humus che ha allevato la pittura galuppiana, si potrebbe allegare ancora una panoramica di altri stimoli e modelli lunga millenni e larga continenti. Non andremo, però, ad aggravare di tali complicanze concettuali le astratte tessere cromo-formali galuppiane, che così come sono – pure da incrostazioni troppo cerebrali – restano appese assai leggiadramente al loro rinnovato tessuto connettivo, imbragate da lievi immaginifiche punzonature in paste metalliche: aggregate, sì, fra loro, ma pur sempre ammiccanti ad un eventuale – e non da escludersi... – rimescolamento pitto-archi-tettonico.
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Massimo Galuppi. Manhattan 2016 |
È dunque consustanzialmente filosofica questa arte, che reduplica il reale e lo rifrange in una pozzanghera cromatica e formale di tentativi costruttivi inespressi, colmando questa loro latente richiesta di attuazione con il surrogato pittorico di una esistibilità opzionale. Rimettere in campo i progetti scartati, istigare alla ribellione le alternative costruttive sconfitte o nemmeno concepite... Provocazione ad esistere? Si potrebbe ipotizzare un’arte con intento provocatorio, dunque. La filosofia è certo un balsamo fin troppo intridente per le menti prone a concederlesi. Sovverrebbero certamente Aristotele, con i suoi requisiti di accidente e le spole fra potenza ed atto (e viceversa: in verità, la fattispecie della procedura galuppiana parte dal realizzato, da cui estrae, trae e contrae configurazioni inesistenti – e, per essere sinceri, per lo più inesistibili –), Platone, Heidegger (tutti architetti di filosofia e filosofi di architettura); nonché la semiotica letterario-urbanistica di certo Ricœur, e ancora ovviamente certa avanguardia pittorica, certa fantascienza (declinata in libri ed in film), senza poter tralasciare l'immaginativa urbanistica calviniana, sempre sospesa tra esistibilità dell’inesistente e suo contrario. E così innanzi procedendo, poiché, a voler precisare l’humus che ha allevato la pittura galuppiana, si potrebbe allegare ancora una panoramica di altri stimoli e modelli lunga millenni e larga continenti. Non andremo, però, ad aggravare di tali complicanze concettuali le astratte tessere cromo-formali galuppiane, che così come sono – pure da incrostazioni troppo cerebrali – restano appese assai leggiadramente al loro rinnovato tessuto connettivo, imbragate da lievi immaginifiche punzonature in paste metalliche: aggregate, sì, fra loro, ma pur sempre ammiccanti ad un eventuale – e non da escludersi... – rimescolamento pitto-archi-tettonico.
Nell’opera galuppiana, scodellato su
tela è niente meno che lo statuto della precarietà d'esistere. Instabilità,
sospensione, indecisione, inconcludenza, insoddisfazione: in definitiva, quella
che il pittore astrattista e mistico Massimo Galuppi sunteggia è la finitezza
dell’uomo, (ri)scoprendo dalla sua prospettiva originalissima incastrata fra
architettura, fotografia e pittura, che il minimo comune denominatore
strutturale dell’uomo è il mutamento, è vento, è polvere: quella biblica
“polvere”, che – pur con tutti i rimescolamenti accidentali che potrà subire –
ritornerà comunque sempre polvere.
Tanto più
spettacolare, allora, che non ne discenda un senso tragico dell’esistere.
Perché anzi, proprio quel sagace ed autoironico invito, che le tessere
pittoriche ed architettoniche galuppiane ci insinuano, a continuamente
riconsiderarsi, per rigenerarsi, quell’essere loro custodi di uno spirito di
trasmutazione perpetua vivificante, ebbene ciò risulta essere sorgente di
conforto. Almeno per chi – ed è colei che ancora, ma non ormai per molto, sta
scrivendo – veleggia in tale nostra piega generazionale ed epocale
signoreggiata da una insoverchiabile espansa precarietà. Sarà allora forse
anche per tale insospettata attualità del farmaco galuppiano, che le misture
architettoniche del mago Galuppi agiscono su di lei – sia allorquando è
fotografa sia quando scrittrice sia quando semplice riguardante – come
iniezioni di propositività, stimolatori di costruttività ed incantesimi di
fiducia.
Massimo Galuppi è un pittore i
cui soggetti privilegiati sono le architetture contemporanee, internazionali ma
anche locali, come dimostra un ciclo pittorico (16 quadri) interamente dedicato
al quartiere ex Zuccherificio di Cesena. Le sue opere, di figurazione non
accademica, sono riconducibili a uno stile che si situa nello snodo tra formale
e informale - con influssi di digital art nella strutturazione compositiva ed
un uso del colore insieme carnoso e irreale - e occupano una posizione
originale nel panorama artistico non solo cesenate.
Renato Loris Mariotti, 2010
I cicli pittorici prodotti
negli ultimi anni dal pittore Massimo Galuppi hanno ricevuto, in più occasioni,
un meritato riconoscimento, sia da parte di un pubblico interessato, che di una
critica attenta. Ciò che qui interessa segnalare di questo itinerario
espressivo non è tanto l’originalità dei temi oggetto dell’opera di Galuppi –
seppur unici –, quanto la necessità
poetica di svolgere la propria indagine pittorica a partire
dall’osservazione attenta della città contemporanea. […] il cui percorso, un
po' schematicamente, lo si può anche pensare quale interazione tra macrocosmo
dello spazio urbano e microcosmo del corpo architettonico[…].
Un percorso, quindi, che
dispiegandosi da un primo ciclo, CittàPolis, in cui palinsesti di colore
e forme reinterpretano l’articolarsi di ipotetiche stratificazioni urbane, si
sofferma poi, sulle poetiche interpretazione degli spazi pubblici del quartiere
ex Zuccherificio di Cesena di Gregotti, là dove il principio insediativo
fondato sul tema della piazza quale nucleo aggregativo attorno al quale si
articola lo spazio urbano viene rielaborato in uno spazio “sospeso”,
trasfigurato in oniriche dissolvenze prospettiche. Quasi come in un successivo
passaggio di scala urbana, troviamo poi alcune visioni più
dettagliatamente architettoniche, quali la “composita” torre del centro
meteorologico di Barcellona di Alvaro Siza, o il “metafisico” volume del
cimitero di San Cataldo a Modena di Aldo Rossi, (si veda anche lo “scomposto”
equilibrio cromatico della torre di Hans Kollhoff a Berlino). L’ultimo ciclo, SacerArch,
sviluppa, più specificatamente, istanze cariche di sacralità, mediante
la rilettura di due architetture complementari: l’asciutto espressivismo, quasi
metafisico, dell’interno della cappella Notre-Dame du Haute a Ronchamp di Le
Corbusier e l’equilibrato lirismo della chiesa della Sacra Famiglia a Genova di
Ludovico Quaroni. […]
In conclusione: nessun intento
“rappresentativo” pervade queste visioni, le quali appaiono voler
additarci, semplicemente, “segni sospesi” di una ricomposta e meditata bellezza
in questa nostra contraddittoria contemporaneità.
Johnny
Farabegoli, 2009
Massimo Galuppi realizza le sue opere
con tecnica mista su cartoncino o su tela. Ma è sopratutto la grafica digitale
lo strumento espressivo di cui il Galuppi si serve per la sua attività
artistica, il mezzo più idoneo per manipolare e trasformare immagini e disegni
per la stesura dei colori e la loro gradazione cromatica.
Il colore, il
pennello e la tela sono, da sempre, gli strumenti più semplici per svolgere
l'attività pittorica. Massimo Galuppi è, invece, un'artista che, come pochi
altri, impiega mezzi espressivi diversi. Le immagini, ideate nella sua fantasia
creatrice, le costruisce con la grafica digitale. A questo primo atto fa
seguire un complesso lavoro di manipolazione, disgregazione e ricostruzione. Il
terzo movimento è rappresentato dalla campitura dei colori, usati e dosati con
attenta cura e parsimonia. Un altro tratto non comune, anzi singolare, del
Galuppi è il modo con cui si serve del bianco e del nero, in particolare di
quest'ultimo, vera "pietra filosofale" della ricerca galuppiana, che
sa dare forma vitale all'informale.
AAttilio Bazzani
Cromie 2015.
Questa nuova esposizione
dell'artista cesenate Massimo Galuppi, pur nell'esiguità del numero dei lavori
esposti, costituisce un'ulteriore metamorfosi linguistica di una rinnovata e
feconda ricerca pittorica che sembra ora
svincolarsi dalle più serrate "strutture" geometriche del precedente
ciclo dedicato a Manhattan (in particolare "Manhattan/3"), di cui
rimangono, comunque, in-visibili tracce.
Nel rinnovato sguardo che qui ci
viene offerto dall'artista, i lavori del ciclo "Zen-Cromie" sembrano caratterizzati da un processo pittorico-compositivo
che procede per "semplificazioni" dei propri elementi costitutivi, in
grado però di spingere lo sguardo dell'osservatore proprio là dove,"apparentemente",
sembrerebbe non esserci "nulla" da vedere.Così, come l'adagio
svolgersi diun lirico movimento musicaletrae sostanza
dal"necessitante" silenzio-attesache antecede il sorgere dell'evento
sonoro - e a cui rimane indissolubilmente legato -, allo stesso modo lo "spazio vuoto"
che sembra espandersi sulla tela dà corpo e sostanza all'articolarsi dell'orditura/partituradella composizione cromatica.
E proprio da questa
"prospettiva zen"sembra riflettersi, come in uno specchio, la "semplice
pienezza" che feconda la linearità delle forme, e che, al pari di un sapienziale
motto zen, sembra ricordarci che il "vero vedere è quando (apparentemente)
non c'è più nulla da vedere".
Johnny Farabegoli, 2015
mercoledì 22 marzo 2017
Notturni di primavera
Studio d'Arte 15 accoglie la nuova stagione con Notturni, una mostra personale di Alessandra Cocchi, che raccoglie una serie di opere in tecnica mista su carta, realizzate in gran parte nel 2006.
Si tratta di opere che rappresentano una fase espressiva segnata soprattutto dal ritorno al colore, al trattamento sperimentale della carta e all'utilizzo di frammenti e materiali inusuali che fanno parte del gruppo dei polimaterici.
Il tema centrale è la notte, intesa come dimensione dello spirito, luogo non-luogo, altro, senza confini, dove l'immaginazione si stacca dalla materia e libera il suo carico di emozioni ed esperienze. Tutto si scioglie in una dominante blu, rischiarata da trasparenze e forme leggere e luminescenti simili ad ologrammi.
Anche nei formati più piccoli si coglie il tema dello spazio, uno "spazio notturno" avvolgente,indefinito e vago, che non è mai concluso, mai compreso nei limiti del quadro.
In questi dipinti lo spazio è una distanza creata con il colore, un tipo di spazio profondo, multidimensionale, costruito su punti di vista a-prospettici e vaganti, come quelli della Città nella memoria; ora posti all'interno delle cose, come lo sguardo dentro ai percorsi
psichici-mentali de Il sogno di Frithurick;
ora dall'alto come in Due cerchi sulla strada e nel Lago rosso; ora dal punto più basso della materialità umana, tra la polvere, verso il cielo ultraterreno della Culla della Luna.
Infine c'è lo sguardo portato a distanze siderali come nel Pianeta perduto, opera che conclude questa fase e ne apre un'altra, rappresentata dalla serie dei Pianeti sviluppata negli anni 2007-2008.
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La locandina della mostra |
Si tratta di opere che rappresentano una fase espressiva segnata soprattutto dal ritorno al colore, al trattamento sperimentale della carta e all'utilizzo di frammenti e materiali inusuali che fanno parte del gruppo dei polimaterici.
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Alcune immagini dell'allestimento. |
Alessandra Cocchi. Viaggio nella memoria. 2006. Tecnica mista su carta. |
Il tema centrale è la notte, intesa come dimensione dello spirito, luogo non-luogo, altro, senza confini, dove l'immaginazione si stacca dalla materia e libera il suo carico di emozioni ed esperienze. Tutto si scioglie in una dominante blu, rischiarata da trasparenze e forme leggere e luminescenti simili ad ologrammi.
Alessandra Cocchi. 2006. Il sogno di Frithurick. Tecnica mista su carta |
Anche nei formati più piccoli si coglie il tema dello spazio, uno "spazio notturno" avvolgente,indefinito e vago, che non è mai concluso, mai compreso nei limiti del quadro.
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Alessandra Cocchi. Brina sotto la neve. 2006. Tecnica mista su carta. |
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Alessandra Cocchi. Due cerchi sulla strada. 2006. Tecnica mista su carta. |
In questi dipinti lo spazio è una distanza creata con il colore, un tipo di spazio profondo, multidimensionale, costruito su punti di vista a-prospettici e vaganti, come quelli della Città nella memoria; ora posti all'interno delle cose, come lo sguardo dentro ai percorsi
psichici-mentali de Il sogno di Frithurick;
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Alessandra Cocchi. Il lago rosso. 2006. Tecnica mista su carta. |
ora dall'alto come in Due cerchi sulla strada e nel Lago rosso; ora dal punto più basso della materialità umana, tra la polvere, verso il cielo ultraterreno della Culla della Luna.
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Alessandra Cocchi. Una culla per la luna. 2006. Tecnica mista su carta. |
Infine c'è lo sguardo portato a distanze siderali come nel Pianeta perduto, opera che conclude questa fase e ne apre un'altra, rappresentata dalla serie dei Pianeti sviluppata negli anni 2007-2008.
sabato 25 febbraio 2017
Circus Molinario
Dal 10 al 19 marzo Studio d'Arte 15 a Cesena ospiterà la mostra Circus Molinario, con dipinti dell'artista piemontese Fabrizio Molinario, curata da Alessandra Cocchi.
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La locandina della mostra |
Il mondo del circo
ha un fascino senza tempo, che ne fa un luogo amato da adulti e bambini.
Nell’arte, i
soggetti legati a questo mondo sono stati spesso fonte di ispirazione e nel
tempo diversi artisti ne hanno fatto la propria materia narrativa, recuperando
l’anima infantile che connota ogni essere umano e che normalmente tende a
rimanere nascosta.
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Fabrizio Molinario. La giostra degli elefanti. 2016. Acrilico su tela. |
Anche Fabrizio
Molinario ha deciso di esplorare se stesso attraverso il circo e lo fa grazie
ad una serie di opere che, recuperando la semplificazione delle forme e
l’esaltazione dei valori plastici tipiche delle tendenze del primitivismo di
inizio Novecento, esaltano la sua vena inventiva. Molinario infatti sta
compiendo un personale percorso di formazione e le suggestioni del passato
vengono da lui reinterpretate alla luce di un’idea di forma e colore che è solo
sua.
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Fabrizio Molinario. I trapezisti. 2016. Acrilico su tela. |
La forma quindi
diventa, nel suo apparente arcaismo, irregolare e fluida, vibrante, proprio
grazie all’uso sapiente e talvolta spregiudicato del colore, che è materia viva
e percepibile sulla tela. In questo sta la sua capacità: rendere vive le sue
figurine, che si muovono sulla superficie pittorica in una danza ancestrale,
amplificata dai volti spesso cristallizzati in maschere senza tempo.
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Fabrizio Molinario. La tigre.2016. Aclilico su tela |
Pennellate decise si
rincorrono, creando spazi definiti e materici, arrivando a dar vita ad una
storia di umanità sorprendente, che nella semplicità regala ad ognuno la
capacità di dirsi infinito.
Federica Mingozzi
Circus Molinario
Mostra personale di Fabrizio Molinario a cura di Alessandra Cocchi.
0 – 19 marzo 2017
Studio D’Arte 15 - Subborgo Eugenio Valzania, 15, Cesena
Inaugurazione venerdì 10 marzo 2017 ore 17.00
Orario: martedì, mercoledì, venerdì e sabato dalle 17.00 alle 19.00
Contatti: info@geometriefluide.com
Fabrizio Molinario
Fabrizio Molinario
nasce a Novara nel 1968, città in cui vive e lavora. Inizia la sua
attività pittorica nel 2003.Ha esposto i suoi lavori in diverse gallerie, spazi
pubblici e fiere in Italia ed all’estero. Alcune delle più significative:
“Sinergy Art Barcelona” – Crisolart Galleries -
Barcellona 2015; “Madre Italy” - Gallery Tabernacle – Londra 2015; “Opposti armonici” – Galleria Civico 8 a cura di Chiara Milesi- Vigevano (PV) 2015;
“Tentazioni d’artista”- castello di Vigevano a cura di Gaia Rotango - Vigevano
(PV) 2015 ; “I volti dell’anima” – Sala dell’Accademia del Broletto- a cura di
Bruno Bandini –Novara Catalogo 2014; “Free Hand” – Adsum Arte contemporanea –
Terlizzi (BA) Catalogo 2014; “The people” – Galleria Galgarte, a cura di Emilio
Minotti- Bergamo 2014; “ Free Style”- Chie Art Gallery- Milano 2013; “Beati gli
ultimi”- Galleria Massella, a cura di Licia Massella- Verona 2013;
“Affordable Art Fair”, Superstudio più- Milano 2012; “Colori
d’Italia”, Museo civico di Silistra (Bulgaria), catalogo 2012; “Le forme ludiche
della vita”- Artime Gallery , a cura di Veturia Manni- Latina 2016; “Circus
Molinario”- Studio d’arte 15, a cura di Alessandra Cocchi- Cesena FC 2017.
domenica 5 febbraio 2017
Carnevale allo Studio 15
Il mese di febbraio lo spazio della galleria cesenate è dedicato al Carnevale, con le maschere di Alessandra Cocchi.
L'invito alla manifestazione è rivolto a tutti in forma di video:
Le opere esposte riprendono la tradizione popolare delle maschere e dei carri anche attraverso la tecnica della cartapesta. Ma nelle fantastiche rielaborazioni dell'artista si possono rintracciare anche riferimenti a diverse civiltà, in un gioco di rievocazioni e invenzioni dove tutto si mescola in una festa di forme e di colori.
Per l'interesse suscitato, la mostra che era prevista fino al 28 febbraio, proseguirà fino al 7 marzo 2017.
Per ulteriori approfondimenti sulle Maschere di Alessandra Cocchi clicca qui.
L'invito alla manifestazione è rivolto a tutti in forma di video:
Le opere esposte riprendono la tradizione popolare delle maschere e dei carri anche attraverso la tecnica della cartapesta. Ma nelle fantastiche rielaborazioni dell'artista si possono rintracciare anche riferimenti a diverse civiltà, in un gioco di rievocazioni e invenzioni dove tutto si mescola in una festa di forme e di colori.
Per l'interesse suscitato, la mostra che era prevista fino al 28 febbraio, proseguirà fino al 7 marzo 2017.
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venerdì 6 gennaio 2017
Visione sognante. Opere di Maria Pia Campagna
Ritorna, nella galleria dello storico borgo di Porta Santi a Cesena, Maria Pia Campagna, con una serie di opere sorprendenti e poetiche, di grande impatto visivo e fortemente espressive concentrate sul tema del sogno. La mostra Visione Sognante, curata da Alessandra Cocchi, si svilupperà per tutto il primo mese dell'anno 2017, dal 10 al 23 gennaio.
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L'allestimento della mostra visto dall'ingresso. |
Il gruppo di opere esposte, appartenenti a due diverse serie di dipinti risalenti al 2006, appartengono ad un momento di ricerca interiore, vissuta attraverso immagini viste come in sogno.
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Maria Pia Campagna. Occhio. 2006. Acrilici su tela |
Questi lavori sono accomunati dal coagularsi del colore, materia pittorica capace di passare dalla trasparenza traslucida al grumo materico e dalla gamma calda, sui toni del giallo e del rosso.
Notevole è la forza espressiva del gruppo degli Indelébilé, realizzati con una tecnica sperimentale di pigmenti e altre sostanze, dove i colori sembrano viventi, mossi da strane e misteriose energie.
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Dettaglio dell'Autoritratto, uno dei dipinti del gruppo Indelébilé |
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Dettaglio dell'Uomo, uno dei dipinti del gruppo Indelébilé |
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I colori di Maria Pia Campagna in Indelébilé. |
Molto particolare è anche l'allestimento, con l'installazione quasi totemica dell'Occhio, centro di attrazione "magnetica" della mostra ed elemento simbolico e quasi sacrale della visione poetica a cui allude lo stesso titolo scelto per l'esposizione.
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Maria Pia Campagna. Effervescit. 2006. Acrilici su tela. |
I due dipinti dal titolo Effervescit, uno di formato rettangolare alto e stretto, l'altro circolare, rappresentano un altro momento della ricerca espressiva dell'artista, dove la forma ridotta all'essenziale, le composizioni centrate e i colori caldissimi emanano una forza quasi ipnotica come di richiamo ad una dimensione interiore.
A. Cocchi
Studio d'Arte 15
Cesena
subborgo Eugenio Valzania 15
Dal 10 al 28 gennaio 2017
orario di apertura: dalle 17 alle 19
Chiuso: domenica, lunedì e giovedì
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